Donna Maria, la figlia del Generale
Per la serie “Pagine di Storia”, il Progetto Centola propone, attraverso la stupenda testimonianza di Raffaella Imbrìaco, uno spaccato storico e di vita quotidiana del tempo che ci fa conoscere la figura del Generale Imbrìaco attraverso le vicende di sua figlia, Donna Maria.
Donna Maria non era bella. Era alta, di un’altezza sicuramente superiore alla media delle donne dei primi del Novecento. Aveva il naso sporgente, come nella tradizione della sua famiglia e capelli neri che portava pettinati in su, stretti in una di quelle acconciature di inizio secolo che seguivano i dettami dalla moda francese e che lasciando scoperto il viso, facevano ricadere sulla fronte solo qualche piccola ciocca Era robusta ma nonostante ciò portava con classe gli abiti di alta sartoria che indossava quotidianamente. Nel complesso, nonostante tutto, era una donna affascinante per quel suo sguardo penetrante ed intenso che se da un lato incuteva timore, dall’altro intrigava.
Donna Maria, nonostante avesse ricevuto un’educazione molto rigida impartita sin da bambina nei migliori collegi della Capitale, aveva modi bruschi. Con quel suo piglio autoritario che certamente aveva ereditato dal padre, Generale dell’esercito (figura 1), comandava a bacchetta chicchessia. Nella casa di campagna nel Cilento, dove la famiglia trascorrevai mesi estivi, aveva un suo posto riservato nel soggiorno vicino all’imponente camino di pietra arenaria. Era una poltrona di velluto bordeaux, piuttosto usurata dal tempo, ma che nessuno mai osava nemmeno sfiorare per non provocare i rimbrotti di colei che l’aveva ufficialmente usucapita. Era lì in quella stanzache Donna Maria trascorreva gran parte delle sue giornate estive, dedicata alle letture più varie ma anche al ricamo a intaglio e a tombolo, arti per le quali aveva molto talento. Sin da piccola si era sempre distinta tra i figli del Generale, per vivacità e acutezza intellettuale. Eccellente a scuola, conosceva bene il francese e traduceva senza alcuno sforzo la corrispondenza che il padre riceveva da Parigi e da Montpellier.Non disdegnava la lettura dei giornali e nutriva interesse per le vicende politiche della Nazione, cosa abbastanza rara per le donne dell’epoca generalmente poco avvezze a quel tipo di argomenti. La sua vera passione rimanevano comunque le riviste di moda che le giungevano periodicamente dalla Francia. Era quello un lusso che solo l’alta borghesia poteva permettersi e che consentiva a quella donna, che non aveva certamente il fisico di una libellula, di farsi confezionare abiti alla moda e di essere apprezzata da tutti per la sua eleganza. Aveva un grande gusto nell’abbinare gli accessori e ne era consapevole al punto da farne motivo di vanto e di altezzosità specialmente nei riguardi della servitù, che trattava con grande distacco. Alcune volte il padre, che le riconosceva un carattere troppo spigoloso, le raccontava allegri episodi di vita militare riguardanti i suoi sottoposti, nella maggior parte dei casi giovani ingenui ed ignoranti. In quelle circostanze Maria si lasciava andare a prorompenti risate che le facevano perdere il suo consueto autocontrollo. Allora abbandonava quella rigidità imposta dall’etichetta e diventava un’altra persona. Il Generale si compiaceva di vederla sorridere, libera dalla sua imperitura austerità. Da quegli episodi conditi in parte dalla fantasia, che non avevano mai peraltro l’intento di dileggiare le truppe, nascevano momenti di distensione che mettevano di buon umore l’intera famiglia.
Il caratteraccio della signurina, così la chiamavano in paese (Foria di Centola), era rinomato in tutto il circondario ed aveva oltrepassato i confini geografici del piccolo borgo dove sorgeva la bella casa della famiglia del Generale. Complice la leggera brezza delle serate estive, le sfuriate di Donna Maria erano uno degli argomenti principali delle conversazioni sull’uscio, che per essere più realistiche, diventavano piccole rappresentazioni teatrali eseguite con melodrammatica tensione da improvvisati attori. Si raccontava di uno spasimante molto ricco ma altrettanto tirchio, che, giunto in casa del Generale per chiedere la mano della figlia senza neanche un omaggio floreale, fosse stato cacciato in malo modo da Donna Maria in persona, infuriata come una belva. Tutti in paese la temevano e se proprio ci si doveva avvicinare a lei, lo si faceva con una buona dose di timore, dopo aver recitato almeno un Pater Noster.
“Bisogna prenderla per la gola”, disse un giorno una delle cameriere di casa, e aveva ragione. Donna Maria infatti amava molto il cibo e ciò era evidente dalla sua corporatura massiccia. Andava matta per i dolci alla mandorla e per la crema al gianduia, ma non disdegnava neanche il salato. Il pollo allo spiedo era una vera passione e non mancava domenica nella quale non ve ne fosse uno sulla tavola elegantemente imbandita, contornato da patate al forno. Così anche i suoi gusti alimentari divennero oggetto di discussione in paese, tanto è vero che, chiunque si recasse a casa del Generale non lo faceva mai a mani vuote. Da quando poi si era sparsa la voce che a signurina era golosissima di dolci, non vi era giorno che le venissero recapitate torte profumatissime, nella speranza di calmare i suoi bollenti spiriti.
La casa di campagna possedeva un grande giardino in parte adibito a orto. Era ricco di piante ornamentali e di ulivi secolari. Uno splendido roseto completava quella meraviglia della natura. Il contadino al quale durante quel fine inverno, era stato dato l’incarico di implementare gli alberi da frutta e gli ortaggi con la messa a dimora di ben 150 piantine, si chiamava Minucuccio. Per ringraziare il Generale dell’incarico ricevuto, scrisse una cartolina all’alto Ufficiale rientrato nella sua casa romana, nella quale diceva: ”Ecrecio generale, io sottoscritto Minicuccio fu Alfonso, rincrazio tante per questo lavoro che mi avete dato e che spero mi aiuterà a dare il pane alla mia familia. Vi informerò subito appena le piantine saranno cresciuti.”. La missiva, molto stringata ma di facile comprensione, nonostante pullulasse di orrori grammaticali, giunse nelle mani di Donna Maria, che appena la lesse rimase inorridita. Quelle poche parole davano un colpo mortale alla grammatica italiana ed erano la prova di quanto fosse ignorante e bifolco quell’uomo. Il Generale pur convenendone, impiegò parecchi giorni a convincere la figlia che per fare il contadino non occorrevano necessariamente abilità da scrittore.
Il tempo tra la semina e la raccolta però non fu per niente propizio. L’inverno non voleva andar via e lasciare il posto a quella che si preannunciava una timida primavera. Fino ad aprile inoltrato fece le bizze e a testimonianza di ciò, non mancarono inaspettate e tardive nevicate che rovinarono la maggior parte dei raccolti. Trascorsi diversi mesi dalla prima, una mattina il Generale, ricevette un’altra cartolina proveniente da Minicuccio. “Ecrecio Generale, volio comunicarvi che le piantine anno preso tutte” diceva, con le consuete pecche grammaticali della precedente missiva. Il testo terminava qui, e contro ogni previsione negativa legata alle anomalie metereologiche di quel periodo, era assai rincuorante. Il Generale soddisfatto comunicò alla famiglia la buonissima notizia.
Porse il biglietto all’incredula Maria, con una certa soddisfazione. Lei, dopo aver girato e rigirato tra le mani la cartolina, esplose in una fragorosa risata. “Sei sicuro Babbo? Sei sicuro che quel Minicuccio fosse la persona giusta per curare l’orto? Purtroppo hai letto solo un lato della sua missiva. Ecco qui cosa mancava… Rilesse tutto d’un fiato. “Ecrecio Generale volio comunicarvi che le piantine anno preso tutte. Una mala biata. Vostro Minicuccio fu Alfonso”. La lapidaria e sconcertante comunicazione era contenuta proprio sul lato della cartolina che il Generale non aveva letto. Il raccolto dunque, era andato completamente perduto. La rabbia dell’alto Ufficiale fu presto superata anche se, nei giorni a venire non mancarono puntualii sarcastici commenti di Maria sull’episodio che, prevedibilmente in poco tempo, fecero il giro del paese.
Quando i suoi genitori morirono, a signurina, andò a vivere a Roma a casa del fratello, noto avvocato. Quest’ultimo era sposato con una nobildonna romana per la quale Maria nutrì sempre sentimenti di affetto e di gelosia. Attaccatissima al fratello, avrebbe preferito che probabilmente, neanche lui non si sposasse. Ma il matrimonio avvenuto nel periodo fascista, regolava una condizione sentimentale e sociale che il Duce non avrebbe mai tollerato, poiché l’avvocato, anch’egli devoto al Fascio, rivestiva un ruolo di prestigio nella Segreteria Generale della Provincia di Roma. Così i tre coabitarono per diversi anni, e quella vita insieme non fu proprio un idillio. Donna Maria, non era cambiata minimamente, con l’età poi, anche molto peggiorata. Pretendeva persino di dettar legge sulla vita sessuale dei due coniugi che, già maturi, non avevano certamente bisogno di consigli sulla gestione della propria intimità. Si spinse addirittura a consigliare alla sposa di non far stancare oltremodo il marito, visti gli importanti impegni di lavoro che doveva giornalmente affrontare.
Era proprio insopportabile, e la convivenza con lei era diventata un vero e proprio incubo. Così quando l’avvocato morì, per la vedova non vi furono titubanze. La separazione dalla cognata avvenne in tempi brevissimi. Fu così che Donna Maria lasciò Roma per raggiungere la sorella che viveva in Piemonte e lì trascorse gli ultimi anni della sua vita tra i ricordi di un’infanzia felice, circondata dall’affetto dei nipoti, che nonostante il suo proverbiale caratteraccio, la vollero bene così com’era, fino all’ultimo istante della sua lunga vita.
Raffaella Imbrìaco
(Immagini con Maria Imbrìaco sono riportate nelle figure 2 – 5 sotto pubblicate)