L’antica macchina olearia, a energia idraulica, di Molpa (Palinuro) – Un esempio di “Archeologia industriale”

1. I mulini/frantoi ad energia idraulica

In epoca medioevale, specialmente nelle aree ricche di corsi d’acqua, si svilupparono macchine a energia idraulica il cui meccanismo era stato descritto dal famoso scrittore e teorico dell’architettura Marco Vitruvio Pollione (~ 80 a.C. – ~ 15 a.C.) nel suo celebre trattato De Architectura. Da ciò si deduce che queste apparecchiature fossero già conosciute dai romani fin dal I secolo a.C. [1, 2]. Tali congegni ebbero una grande diffusione in Italia e nel Mezzogiorno dal VIII – X secolo d. C.

Nel Cilento, il monachesimo sia Basiliano (di rito greco – bizantino) sia Benedettino (di culto cattolico – romano) che portò alla fondazione d’importanti abbazie, spesso dotate di vasti possedimenti di terre e attorno alle quali si formarono villaggi e casali, favorì fortemente l’introduzione di questi impianti [3].

I mulini ad acqua erano delle macchine motrici in grado di trasformare l’energia (naturale) cinetica di un corso d’acqua in quella meccanica. In particolare erano capaci di convertire il moto rotativo fornito dalle pale di una ruota idraulica nel movimento appropriato al funzionamento di dispositivi adatti a diverse tipologie di lavorazione. Fu possibile quindi costruire mulini per: cereali, frantoi oleari, magli, gualchiere, la fabbricazione della carta, muovere telai ecc.) [4].

Con l’introduzione di queste macchine fu possibile ottenere risultati e rendimenti migliori in molti settori, oltre al risparmio di mano d’opera che potette essere utilizzata in altri campi applicativi.

I mulini/frantoi ad acqua, per lo più impiegati nel Cilento erano del tipo a ruota idraulica verticale, dotata di pale. Questa, fatta girare dalla forza dell’acqua in movimento, provocava la rotazione di un asse orizzontale che attraverso opportuni ingranaggi poteva indurre la movimentazione delle macine in pietra sia per la frantumazione dei cereali (grano, avena, orzo e malto per la birra, figura 1) sia per la frangitura delle olive (figura 2-a) [5 – 6].

Come si rileva dalla figura 1, nel caso dei mulini per cereali,<il meccanismo condizionante, che portava alla rotazione della macina, era costituito di due diversi elementi rotanti: una grande ruota con denti presso la sua circonferenza detta “lubecchio” e una piccola ruota cilindrica detta “rocchetto” o anche “lanterna” con tanti equidistanti fuselli perimetrici nel cui asse stava l’albero della macina rotante. Collegato e posto in rotazione attraverso un fuso assiale con la ruota d’acqua; il lubecchio ad ogni giro imboccava con i suoi denti l’interspazio tra i fuselli, moltiplicando notevolmente le rotazioni del “rocchetto” e con esso quelle della macina corrente> [2]. Questo congegno, opportunamente modificato, vedi figura 2-a), poteva essere trasformato in una macchina per un frantoio oleario, dove l’energia dell’acqua corrente si trasformava in lavoro per la movimentazione delle macine delle molazze per la molitura delle olive [2].

L’acqua il cui deflusso è necessario al funzionamento delle macchine idrauliche era generalmente deviata da un fiume o da un ruscello attraverso un canale creato ad hoc. Il movimento rotatorio della ruota poteva essere indotto secondo due diversi modi: per di sopra (la ruota, si muove in senso orario (figura 1 – Dx e figura 2-a)), oppure per disotto (la ruota gira in senso antiorario, figura 1- Sx).

Il più delle volte l’acqua deviata dal corso di un fiume, attraverso un appropriato canale, confluiva in un serbatoio adiacente al mulino dal quale con opportune paratie era fatta defluire a velocità e portata controllata nella condotta da cui fuoriuscendo investiva le pale della ruota inducendone la rotazione. L’acqua quindi era convogliata in un canale di deflusso che la immetteva di nuovo nel fiume a valle del punto di prelievo [7, 8]. L’avvento dei frantoi oleari ad acqua non portò alla sostituzione di quelli a trazione animale (definiti “a sangue” o “a tiro”, figura 2-b)) i quali ultimi sopravvissero, specialmente nel Cilento fino ai primi anni del secondo dopoguerra.

La diffusione e disponibilità della corrente elettrica, anche nei borghi più sperduti, portò dai primi decenni del secolo XX, alla scomparsa graduale dei mulini idraulici che furono sostituiti da quelli azionati da motori a energia elettrica.

Oggi è possibile osservare solo i resti di queste strutture a testimonianza di un’epoca oramai passata (v. figura 3).

La meccanica alla base della complessa movimentazione delle macine in pietra delle molazze, nel caso di macchine idrauliche olearie, è resa evidente attraverso l’analisi delle immagini riprodotte nelle figure 4 e 5 [2, 9, 10].

2. Le antiche macchine ad energia idraulica del territorio di Centola e San Severino (SA)

Macchine idrauliche per la macinatura dei cereali e molitura delle olive erano utilizzate anche nel Comune di Centola fin da tempi molto lontani. Ciò era favorito dalla particolare idrografia del territorio che, approssimativamente in direzione Nord-Sud, è attraversato dal corso di due fiumi, il Lambro e il Mingardo e si caratterizza per la presenza di una fitta rete di affluenti denominati “Valloni”. I due fiumi defluiscono rispettivamente a ovest ed est dell’abitato di Centola.

Come si evince dalle figure 6 e 7 la foce del Lambro, sulla spiaggia della Marinella, si colloca a ovest della collina della Molpa; quella del Mingardo a est [11].

Cosimo De Giorgi nel suo libro, “Cilento, Geologia e Idrografia”, riguardo al fiume Lambro scrive:

<La Fiumara di Centola ha le sue origini nel contrafforte del Monte Sacro (Monte Gelbison), denominato Monte Scuro (1610 m. s. m.), e dopo raccolte le acque della “Tempa di Cuccaro Vetere e del monte Antilia prende il nome di Lambro e si dirige al Mare, dove sbocca tra la collina della Molpa e il promontorio di Palinuro> [12].

In alcune antiche mappe il fiume Lambro (un bacino idrografico di 300 Km2 e una lunghezza di circa 22 Km), in particolare nella sua parte terminale, era così riportato: flumen magnum dictu de la Molpa oppure Melphes [13].

Le valli del Lambro e del Mingardo, sfruttando la disponibilità dei porti naturali della Molpa e di Palinuro, hanno rappresentato <da sempre le vie naturali dei collegamenti col retroterra e col Vallo di Diano> [13] (figura 8).

Informazioni sui mulini ad acqua nelle aree che ora afferiscono al Comune di Centola si traggono dalle “Platee” dei feudi di Pisciotta e Molpa di cui furono “Signori”, tra il 1590 e il 1806, i membri della famiglia Pappacoda (marchesi di Pisciotta e Molpa e principi di Centola (dal 1666)) [14].

Dalla platea di Molpa, redatta nel 1666, dopo che il feudatario don Domenico Pappacoda (ancora minorenne) era stato insignito del titolo di Principe di Centola, si ricava che nel territorio del feudo (comprendeva le attuali località di Palinuro e S. Nicola, la parte collinare bassa di Centola, confinante con detti territori, la parte orientale di Caprioli confinante con S. Nicola) erano presenti due mulini idraulici: <Il molino di Caianne, che oggi si ritrova diruto, ma accomodandosi si può affittare per la quantità che si potrà convenire, ed è feudale della propria terra di Centola, e confina col territorio di Foria vicino al fiume corrente (sul fiume Lambro e vallone di Caianni a Nord-Ovest di Foria, n. d. A.) e il molino di Pietra Grossa sito nel luogo ove si dice Pietra Grossa nella fiumara del feudo della Molpa, è affittato per 110 tomoli di grano a Stefano Cerullo e Tomaso Castelluccio> [14, 15].

Dal riferimento [16] si rileva inoltre che, a inizio del XIX secolo a Centola, fosse attiva una non ben definita “macchina idraulica”, sempre parte dell’eredità dei Pappacoda.

La presenza di mulini ad acqua lungo il corso del fiume Mingardo si rileva dalla relazione redatta, su mandato del “Sacro Reale Consiglio” del Regno di Napoli su richiesta dei Creditori del Patrimonio, dall’ing. Giuseppe Attanasio, in data 10 luglio 1786.

In essa sono riportati i risultati della stima del Feudo denominato S. Severino, posseduto dal barone Francesco Antonio De Caro [17].

In questo documento si legge: <Le rendite feudali sono dal molino di Poderia n’esigge il terzo dell’annui rendite,[…], a questo proposito debbo umiliare alla V.S. che l’Illustre Marchese di Camerata Barone del Feudo di Poderia costrusse un molino, e si servì dell’acqua del fiume, che è comune tanto a Poderia, che a S. Severino (il fiume Mingardo n. d. A).Se ne dolse il Barone di S. Severino, indi si convenne, che dovesse detto Barone corrispondere la metà dell’importo per la costruzione del molino suddetto e la metà dell’annue spese che detto molino esigeva, ed in tal caso la rendita di detto molino sarebbe stata metà per ciascheduno. […][17].

Dalla documentazione sopra citata si rileva altresì che era prerogativa dei baroni feudatari costruire molini e frantoi e che i cittadini erano costretti a servirsi di questi pagando spesso in natura, a es. in tomoli di grano e stai d’olio.

F. Barra, porta elementi certi circa l’esistenza, già dal 1574, di un molino nel feudo di San Severino, concesso in affitto al feudatario di Centola, Camillo Porzio (storico e giurista, 1526 -1580, autore del famoso libro “La Congiura dei Baroni”) che lo aveva acquistato all’asta nel 1558 [13].

Su quest’argomento nel libro di Barra è scritto: <[ … ] Porzio cercò inoltre di ampliare ulteriormente i suoi possedimenti, nel tentativo di ricomporre l’unità della vecchia baronia, allo scopo, già preannunciato, di volersi «allargare» per non stare «assediato». In effetti, nel 1574 egli prese l’affitto delle rendite del feudo di Sanseverino, ricaduto al Fisco, compresi i diritti di fida, bagliva, piazza e mulino [ … ]> [13].

Documenti della famiglia Serva di Foria di Centola, testimoniano la presenza in località Lucido, sul fiume Lambro, a nord ovest di Foria di un mulino ad acqua per la macina dei cereali. Nel 1934 la Prefettura di Salerno autorizza la sostituzione di detto mulino con uno elettrico, da costruire al centro del paese alle condizioni che quest’ultimo avesse le stesse capacità di macina di quello idraulico (vedi documento in figura 9) [18, 19].

3. L’antica macchina olearia, a energia idraulica, di Molpa

Nelle vicinanze della foce del fiume Lambro, alle pendici della collina di Molpa, era attivo un frantoio, a energia idraulica, per la produzione di olio, risalente al XIX secolo. L’acqua necessaria a fare girare la ruota e quindi alla movimentazione delle macine era deviata dal fiume Lambro mediante un appropriato canale artificiale.

Di questa struttura si fa menzione nell’atto ufficiale della Conservatoria dei RR. II. di Salerno, riguardante una controversia tra gli eredi della proprietà Rinaldi. Tra i beni censiti risulta esserci un <fabbricato, denominato”Macchina Olearia” ed area annessa confinante con il fondo Marina, la collina Molpa e il fiume Lambro in catasto rustico di Centola; fol. 46 n. 141, a. 10.45> [20].

Ancora oggi l’esistenza di questo mulino, poche decine di metri dalla riva sinistra del fiume Lambro, nelle vicinanze della foce alla Marinella, è testimoniata dai resti sia del fabbricato e dei macchinari sia dal tracciato di un canale per lo scarico delle acque nel fiume.

Le immagini riprodotte nelle figure 10 -a) – b) permettono di identificare esattamente la posizione dell’antico frantoio a energia idraulica di Molpa (vedi in particolare la porzione del foglio di mappa XLVI riprodotta nella foto di figura 10 – b).

Da quanto sopra si deduce che la struttura fosse stata regolarmente accatastata.

Dalla figura 10 – c) si rileva come i terreni prossimi alla macchina olearia, che costeggiano le rive del fiume Lambro, si caratterizzano, ancora oggi, per la presenza di vasti uliveti.

Queste aree, insieme con molte altre, erano state, con buona probabilità, acquisite da Achille Rinaldi dagli eredi della Famiglia Pappacoda, i Doria d’Angri, nel corso degli anni che videro la dissoluzione del feudo di Molpa, processo che ebbe inizio all’incirca intorno ai primi decenni del secolo XIX.

Achille Rinaldi (1823 – 1876), figlio dell’avvocato Giovan Lorenzo e Antonia Saracino aveva sposato Maria Gaetana Landolina (figura 11).

Da rilevare come alcuni membri della famiglia Rinaldi si erano succeduti, sin dal XVII secolo, quali amministratori delle proprietà dei Pappacoda. Le terre di Molpa furono, in seguito, ereditate da Luigi Rinaldi e alla sua morte passarono al figlio Antonio detto il “Duegno” o “Signore di Palinuro” (1885 – 1969), vedi figura 12.

Il poderoso e elegante, dal punto di vista architettonico, palazzo fortificato della famiglia Rinaldi, eretto in via Indipendenza, risalente al secolo XVIII, è mostrato nella figura 13 [18]

E’ verosimile che la macchina olearia, di cui qui si scrive, sia stata fatta costruire da Achille Rinaldi nel XIX secolo; era, di fatto, un frantoio di natura “Padronale”. La sua presenza dimostra quanto importante fosse la produzione di olio nelle rendite di questa famiglia.

Una fotografia degli anni “40 del secolo scorso, che mostra l’edificio della macchina olearia di Molpa, è riprodotta nella figura 14 [19].

Da rilevare come nel foglio di mappa XLVI dell’Atlante della Provincia di Salerno, Comune di Centola, sezione unica (1916) è chiaramente evidenziata la posizione sia del fabbricato che ospitava il frantoio sia del canale attraverso cui l’acqua, deviata dal fiume, era fatta pervenire in un apposito serbatoio dal quale defluiva, in maniera controllata, per azionare la ruota idraulica, del tipo verticale e alimentata per disotto (vedi figure 15-a, 15-b e 15 c).

Vedute via satellite, che consentono di visualizzare, a oggi, l’intera area che comprende il tratto terminale del Lambro, la collina di Molpa e l’ansa del fiume da cui partiva il canale che alimentava il serbatoio della macchina olearia, sono mostrate nelle figure 16 e 17.

L’immagine nella figura 17, presa da Google – maps, un ingrandimento di quella in figura 16, permette di evidenziare i ruderi sia dell’edificio oleario sia della condotta che alimentava il serbatoio contenente l’acqua per la movimentazione della ruota verticale (vedi frecce).

Una visita, effettuata dagli autori nel 2019 all’esterno e all’interno dei ruderi del fabbricato della macchina olearia, a energia idraulica, di Molpa, ha permesso, anche attraverso un accurato dossier fotografico, di documentare lo stato di conservazione sia della struttura edile sia di varie macchine o parti di esse osservabili in alcuni dei locali ancora in piedi.

Il sito, adesso, nel suo insieme è, purtroppo, in uno stato di completo abbandono.

L’analisi dei resti comunque permette di ricostruire, almeno in parte, quella che era la struttura dell’intero complesso con la distribuzione e tipologia delle apparecchiature e le procedure che erano alla base dei processi operativi che portavano alla lavorazione delle olive e alla produzione di olio.

Attraverso un attento esame è stato possibile individuare la posizione, nella sala del “trappeto”, di impianti quale il torchio a mano, della molazza con le macine e di come queste ultime fossero, attraverso un grosso fusto in legno, collegate al volta della camera.

I resti della ruota motrice, disposta verticalmente e alimentata per disotto, hanno rilevato come fosse collegata alla molazza.

Tutto quanto sopra riportato è stato documentato mediante una serie di fotografie alcune delle quali sono riprodotte, con opportune didascalie esplicative, si da renderle “self – consistent”, nelle figure 18 e 19, qui di seguito riportate [21].

Il canale, in fabbrica, attraverso cui l’acqua, proveniente dal serbatoio posto a un livello superiore, dopo avere movimentato la ruota con la sua energia cinetica, confluiva di nuovo nel fiume Lambro, alla riva sinistra, quasi alla sua foce, appare in buono stato, almeno nella sua parte terminale. Questo è testimoniato attraverso l’immagine di figura 20 [21].

La ricerca effettuata sia in loco sia attraverso lo studio di documentazioni ha permesso di ricomporre lo scenario all’interno del quale s’inseriva questo importante complesso produttivo, risalente al XIX secolo, dedicato alla molitura delle olive e alla produzione di olio. Esso era costruito, ad hoc, nelle vicinanze di un’area intensamente olivata. Questa struttura era, di fatto, parte integrante del ciclo produttivo dell’olio che prevedeva lo svolgersi delle seguenti fasi: Coltivazione e cura delle piante; Raccolta delle olive; Trasporto al frantoio; Molitura; Produzione di olio; Vendita e Esportazione utilizzando sia le vie del mare sia le antiche vie di terra lungo le valli dei fiumi Lambro e Mingardo.

I ruderi delle strutture murarie insieme con i resti delle attrezzature che erano parte integrante della macchina olearia di Molpa hanno una grande rilevanza storica. Esse rientrano in quella branca del Patrimonio Culturale, denominata “Archeologia Industriale”.

Queste vestigia sono la testimonianza di una zona la cui cultura, storia e tradizione erano tipiche di una società rurale con un’economia, quasi integralmente, legata all’agricoltura e dove, l’olivicoltura era molto sviluppata. L’olio era una dei pochi prodotti che era esportato al di fuori del territorio comunale.

L’area che comprende il Sito dell’Antica Macchina Olearia di Molpa, con le rovine del fabbricato e i resti dei congegni delle apparecchiature, rappresenta nel suo insieme la testimonianza di costumi e tradizioni che si rifanno alle caratteristiche identitarie di un’intera regione: il Cilento.

Per tutto ciò è auspicabile che questo complesso sia messo in sicurezza, conservato, preservato, protetto e quindi inserito in un percorso di turismo culturale a elevato valore aggiunto.

RIFERIMENTI

1) A. Cortonesi, <L’olivo nell’Italia medievale>, estratto da Reti Medievali Rivista, VI – 2005/2 (http://rm.univr.it/rivista/dwnl/Cortonesi.pdf)

2) V. Galliazzo, <Tipologie dei Mulini ad Acqua> https://aiams.eu/storia/i-mulini-ad-acqua.html

3) http://tecnologiaterzaf.weebly.com/il-mulino-ad-acqua.html

4) Enciclopedia Europea Garzanti (1978)

5) http://www.cipolloni.com/ita/Letteratura/estrazione.asp

6) https://it.wikipedia.org/wiki/Mulino_ad_acqua#/media/File:Acta_Eruditorum_-_IV_idraulica_molino,_1709_%E2%80%93_BEIC_13373207.jpg

7) http://tecnologiaterzaf.weebly.com/il-mulino-ad-acqua.html

8) A. Moratti < ll Mulino ad acqua>, https://carrozzadergambini.it/it/varir/il-mulino-ad-acqua.html

9) https://it.wikipedia.org/wiki/Mulino_ad_acqua#/media/File:Moulin_%C3%A0_huile.jpg

10) https://www.arsarp.it/files/Da_pag_69_a_pag_76.pdf http://www.comune.campora.sa.it/i-mulini.html

11) Atlante della Provincia di Salerno, Comune di Centola, sezione unica, Salerno (1916).

12) C. De Giorgi, <Cilento – Geologia e Idrografia>. Galzerano editore, Salerno (2003).

13) F. Barra, <Storia di un territorio;Palinuro, Molpa, San Severino, Foria, Centola>, Terebinto Edizioni, Avellino (2017).

14) M. Iannone, <Platee relative ai feudi di Pisciotta e Molpa>, Annali Storici del Principato Citra, XVI, 1, 2018, pp. 184-212.

15) Atlante della Provincia di Salerno, Comune di Centola, sezione unica, Salerno (1916).

16) G. Imbrìaco, <Crisi del ceto nobiliare ed ascesa dei galantuomini in alcuni Comuni del basso Cilento, 1771-1905>, Tesi di Laurea in Storia Contemporanea, relatore Luigi Rossi, anno accademico 1996-97; Università degli studi di Salerno.

  1. Relazione dell’ing. Giuseppe Attanasio del 10 luglio 1786 relativa all’apprezzo del Feudo denominato S. Severino ad istanza dei Creditori del Patrimonio su mandato del “Sacro Reale Consiglio” del Regno di Napoli.
  2. <Gli edifici storici del Comune di Centola>, AA. VV. curato da E. Martuscelli, edito dall’Associazione Progetto Centola, Tipografia E. Albano, Napoli (2020).

19) Archivio di Ezio Martuscelli e di Ass. Progetto Centola.

20) Atto ufficiale della Conservatoria dei RR. II. di Salerno [1], riguardante una controversia tra gli eredi della proprietà Rinaldi. Riff. 22651; 19318 (15 settembre 1983, copia anastatica del 06 febbraio 1985).

21) Archivio di Ezio Martuscelli e di Aniello Ciccariello.

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