La “Cuginanza”di Centola incrocia l’Emigrazione

Salvatore Ciccariello e la sua famiglia Emigrano a Montevideo, Uruguay

Dopo la seconda guerra mondiale, a causa della mancanza di lavoro e della grave crisi economica e finanziaria che colpì l’Italia, in particolare il sud e le contrade del Cilento, molti cittadini di Centola emigrarono verso le nazioni dell’America del Sud oppure verso gli Stati uniti d’America, per cercare di rifarsi una vita in paesi nuovi e in via di sviluppo. Altri preferirono emigrare verso nazioni europee, Svizzera, Belgio e Germania, ma anche in città italiane quali Torino e Milano.
C’è da dire che il processo migratorio era già iniziato verso la fine del secolo diciannovesimo.
Fu una vera e propria diaspora; da Centola (SA) partirono intere famiglie, le campagne si spopolarono; fu l’inizio della fine dell’agricoltura e della pastorizia che avevano caratterizzato l’economia del territorio per secoli. I grandi possidenti di terre non riuscivano a trovare coloni cui affidare la cura dei loro fondi. Pertanto in pochi decenni gli uliveti e i vigneti, una ricchezza e una specificità del territorio, furono, in buona parte, abbandonati a un ineludibile degrado.
Questo fenomeno toccò anche la Famiglia Martuscelli che, già prima della morte del capo di famiglia Antonio, avvenuta nel 1954, dovette assistere alla partenza di famiglie che per decenni erano coloni di fondi di sua proprietà, oppure avevano collaborato con altre mansioni, quale quella di fattore e di collaboratrici domestiche.
Particolarmente toccante fu la partenza di Salvatore Ciccariello e della sua famiglia i cui componenti, per anni avevano collaborato a vario titolo con i Martuscelli.


Salvatore Ciccariello, aveva ricoperto per molti anni il ruolo di fattore, sia prima della seconda guerra mondiale, sia nei primi anni del dopoguerra, era l’uomo di fiducia dell’ingegnere Martuscelli. Tra di loro c’era un particolare rapporto che andava al di la del lavoro. Forse, entrambi combattenti, erano accomunati dal ricordo di sacrifici e sofferenze sopportate nel corso delle guerre cui avevano partecipato (Salvatore era stato partecipe della tremenda campagna di Russia, mentre Antonio Martuscelli era stato fatto prigioniero nella Grande Guerra e aveva preso parte anche alla seconda guerra mondiale).
Salvatore aveva sposato Donata Palumbo, una donna dai lineamenti finissimi e molto bella, dalla quale ebbe numerosi figli.
Nei primi anni del 1950s, causa il persistere della drammatica crisi economica che imperversava, Salvatore Ciccariello fu, suo malgrado, costretto a emigrare in Uruguay con il figlio Antonio. Furono chiamati a Montevideo dal fratello, Giovanni.


Negli anni successivi anche la moglie con i figli lasciò Centola per Montevideo.
Ezio Martuscelli, all’epoca aveva dieci – dodici anni, molto affezionato a Salvatore e al figlio, Antonio, così ricorda la loro partenza dal porto di Napoli.
<La mattina presto mio padre si recò alla stazione ferroviaria per incontrare
Salvatore e il figlio che nel tardo pomeriggio avrebbero dovuto imbarcarsi su di un bastimento che li avrebbe portati in Uruguay. Intorno a mezzogiorno arrivarono nella nostra casa di Napoli, in via II Quercia n° 4, quinto piano. Non avevano valige, si supponeva che le avevano già portate al porto dove probabilmente avevano espletate tutte le formalità di rito per la partenza.
Furono ricevuti da mia madre che li fece accomodare nella sala da pranzo dove con me erano presenti anche i miei tre fratelli maggiori, Lilia, Laura e Gino. L’atmosfera era molto triste, la conversazione, in attesa dell’ora del pranzo, stentava a decollare; si avvertiva in tutti una profonda angoscia. I presenti percepivano che l’imminente partenza rappresentasse un atto definitivo e irreversibile: non avremmo mai più riveduto né Salvatore né Antonio!
Era come se essi uscissero per sempre dalla nostra vita: la partenza era sentita, e si avvertiva nell’aria, come un evento ineludibile e finale, assimilabile alla morte!
Ci si mise a tavola, mia madre aveva preparato un pranzo speciale, ricco di portate e di prelibatezze: sembrava il pranzo che si allestiva in occasione di una particolare ricorrenza: e in effetti lo era! Si celebrava, di fatto, la perdita di persone a noi care che difficilmente avremo rincontrate.
Dopo il caffè mio padre, solo apparentemente sereno e distaccato, come doveva essere un vecchio soldato, chiese che fosse portata a tavola una bottiglia di vino moscato (il famoso vino da dessert di casa Martuscelli), fatto con le uve della sua vigna di Lacci, e versò il contenuto, prima nei bicchieri degli ospiti e poi dei familiari, incluso il mio, data la particolare occasione. Quindi invitò tutti ad alzarsi in piedi e sollevando il proprio bicchiere pronunciò un breve discorso di commiato; tutti erano profondamente commossi, molti visi erano rigati dallo sgorgare di grosse lacrime. Io ricordo che non potetti trattenere dei singhiozzi, piangevo. Era la prima volta che dicevo addio a delle persone a me vicine e care e che sentivo che le avrei perdute per sempre.
Dopo pranzo nel presto pomeriggio ci furono i saluti finali, gli ospiti dovevano presentarsi per l’imbarco, Mio padre li accompagnò al porto e quando ritornò a casa, si ritirò nel suo studio dal quale uscì solo a ora di cena. Fu una cena stranamente silenziosa, non ci furono commenti. Ricordo che apparentemente eravamo attenti a quello che la radio trasmetteva, è probabile che i pensieri di tutti noi erano rivolti a un bastimento che solcava i mari portando via verso un destino ignoto tante povere persone che probabilmente non avrebbero mai più ritrovato il loro paese e le loro persone care.
Purtroppo i miei presentimenti si avverarono: non ho mai più incontrato Salvatore e Antonio.
Solo due o tre anni fa, attraverso un mio caro amico, purtroppo scomparso, Salvatore Lamassa, detto Rino, che spesso tornava a Centola da Montevideo, dove viveva la sua famiglia, parlando mi disse che incontrava spesso i componenti della famiglia di Salvatore Ciccariello e che Antonio in particolare chiedeva spesso della famiglia Martuscelli e in particolare di me.
Dopo oltre sessant’anni ebbi la possibilità di avere notizie di Salvatore e Antonio. Inoltre Rino di ritorno da un successivo viaggio mi consegnò alcune fotografie, riportate nelle figure 1 e 2, risalenti all’incirca al 1965, nelle quali erano ripresi i membri della famiglia Ciccariello nella loro residenza di Montevideo (Uruguay).
Così, almeno in fotografia, ebbi l’opportunità di rivedere Salvatore e Antonio, oltre a tutti gli altri membri della famiglia.
Ma la storia non finisce qui, infatti, due o tre estati fa fu ospite, a Centola, di Laura Stanziola (vedova di Totonno Natale, e madre di un mio caro amico, Carmelino Natale), Ida Ciccariello, figlia di Salvatore, che trascorse un periodo di vacanza nel suo paese natale. Ida era la vedova di Rometto Natale, fratello di Totonno (cognato di Laura). Ida dopo avere sposato Rometto, si era trasferita a Caracas in Venezuela, dove il marito viveva.
Tramite Carmelino incontrai Ida dalla quale ebbi informazioni circa la sua famiglia. Naturalmente sia Salvatore sia la moglie Donata erano morti.
Così una storia iniziata oltre sessanta anni orsono ha trovato la sua conclusione.
Purtroppo sia Carmelino, non ancora cinquantenne, sia la madre sono recentemente scomparsi a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro>.
Un simpatico aneddoto che rende conto del personaggio che era Salvatore, è stato riferito da Laura Martuscelli. Lei ricorda che Salvatore nel salutarla, il giorno che sostò a casa nostra, prima di emigrare, le fece i complimenti perché era divenuta una bella “signorinella”. Inoltre le confessò che quando lei era piccolina, nel tornare con la famiglia da una visita al fondo di Lacci, che era distante dal paese, e collegato attraverso un sentiero di campagna, scosceso e in salita, la bambina, stanca e, a detta di Salvatore anche capricciosa, si era messa a piangere pretendendo di essere presa in braccio dalla madre oppure dal padre. La madre allora chiese all’aitante Salvatore di accollarsi lui il fardello di portare la piccola in lacrime. Salvatore, non fu capace di rifiutarsi e quindi prese Laura tra le sue muscolose braccia che immediatamente si quietò. Comunque egli era un po’ seccato, certamente non per il peso della bambina, ma perché era costume che gli uomini non dovessero portare in braccio i bambini, compito questo delegato alle donne. Pertanto, raccontò che nel portarla ogni tanto le mollava un leggero pizzicotto sul sederino provocando le proteste della bambina la quale cominciò a strillare come un’aquila. Data l’età, lei non poteva spiegare il perché del pianto.
A questo punto la madre credendo che Laura piangesse perché volesse stare con lei, intenerita, la rilevò dalle braccia di Salvatore, mai sospettando il tranello ordito dallo stesso.
Laura e mia madre, anche lei presente al racconto, sorrisero appena, ma presto l’amarezza del prossimo distacco prevalse su quella che in altre circostanze sarebbe stata un piacevole ricordo di tempi trascorsi e su cui potere fare commenti in allegria.

Ezio Martuscelli

Testo estratto dal libro,
<La Cuginanza di Centola (1940-1955)>, di Ezio, Laura e Federica Martuscelli.
Edito dall’Associazione Progetto Centola, Tipografia di Enzo Albano, Napoli (2017)

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