L’inverno e il Natale in un piccolo borgo del Cilento (Anni “40 – “50)

La famiglia Martuscelli, durante gli anni “40 e “50, soleva trascorrere il Natale a Centola (SA). Normalmente si partiva da Napoli, in treno, intorno ai primi di dicembre, per ritornare dopo l’epifania. Il capofamiglia Antonio, spesso si avviava prima e si tratteneva più a lungo, per sovraintendere alla campagna olearia, ad altre attività agricole e anche per gli impegni connessi alle sue attività professionali, era ingegnere.

Questo periodo coincideva con l’acme della campagna olearia (raccolta delle olive e macinazione delle stesse nei frantoi) e anche con la macellazione dei maiali e relativa trasformazione delle carni in prodotti vari (salsicce, soppressate, prosciutti, sugna, sanguinaccio e altro).

Nel lasso temporale cui si riferiscono questi ricordi, alla “Cuginanza” (figura 1-a) che si ritrovava a Centola nel periodo natalizio, spesso si aggregavano altri ragazzi tra i quali si ricordano: Gaetano e Valentino Natale, Gerardo Luise, afferente alla famiglia denominata “senza sale”, Antonio Fusco (detto “Pélissier”, dal nome di un famoso ciclista su strada francese), Alfonso Speranza e molti altri (figure 1-b, 2a e 2b).

Durante l’inverno, a causa del freddo e della pioggia, le passeggiate in campagna erano meno frequenti, pertanto si organizzavano attività nelle spaziose cucine e “gallerie” delle antiche case appartenenti alle varie famiglie Rinaldi, tutte situate intorno alla piazzetta del Rosario (figura 3).

Questa Piazza era il punto di riferimento per la vita sociale del paese. Infatti, nelle immediate vicinanze vi abitavano molti di quelli che all’epoca erano considerati i maggiori notabili del paese, sia perché grandi possidenti terrieri, sia perché rappresentanti delle alte professioni e della borghesia “illuminata e colta”.

La “Cuginanza”, sovente, era ospite di Maria Teresa e Nicolina, nell’antica casa del nonno, Nicola Rinaldi, sposato con Teresa Romanelli (i “Rinaldi di sopra”), dove, abitavano anche gli zii, Maria, Francesco (avvocato), Guido (agricoltore), Cesare (direttore dell’ufficio postale di Centola) e Raffaele (responsabile dell’esattoria comunale) (figure 4a, 4b e 4c).

Molto frequentata era anche la casa dei quattro fratelli Rinaldi, Antonio, Peppino, Achille e Angelo (designati i “Rinaldi di sotto”, figura 2-b)).

Spesso, specialmente la sera, il gruppo di amici s’incontrava per giocare a tombola oppure a sette e mezzo, nel salotto della casa delle sorelle, Rosa, Laura e Pina Rinaldi Landolina, in piazzetta Sant’Antonio (figura 5). A questi giochi i più piccoli, Ezio Martuscelli, Angelo, Achille (figura 6) e Nicolina Rinaldi, prendevano parte, dopo avere raggranellato qualche lira dai fratelli maggiori oppure da qualche zio o genitore, con la speranza di guadagnare qualche soldo per andare a comprare presso il negozio di Orlando D’Angelo, in via Rosario, liquerizie, cannellini e anche qualche fetta di mortadella, quest’ultima una novità del dopoguerra, sconosciuta a Centola fino a quel momento.

Era l’epoca della farina verde, ricavata dalla macinatura dei piselli secchi, delle patate dolci e del latte condensato, prodotti che gli americani, a seguito del piano Marshall, donavano al nostro paese come aiuti alla grave crisi economica post bellica. Era anche il tempo del famoso DDT (Dicloro-Difenil-Tricloroetano) il primo insetticida moderno di sintesi, che era usato allo stato di polvere o in soluzione, usando la pompetta a stantuffo del “flit” (figura 7), per combattere i pidocchi, le zanzare e altri insetti nocivi alla salute, la cui diffusione era favorita dalla scarsa igiene, dalla carestia e da una diffusa povertà.

L’uso di questo prodotto era ampiamente diffuso per disinfestare persone, scuole, strade e edifici pubblici. Esso era anche impiegato per combattere la malaria. Solo negli anni successivi si scoprì che il DDT era nocivo alla salute dell’uomo, essendo cancerogeno, e il suo utilizzo fu proibito. Erano anche i tempi della “Topolina”, la macchina prodotta dalla Fiat, la Fiat-500, il cui primo esemplare a Centola fu acquistato da Raffaele Rinaldi (figura 8); destò in noi bambini molta curiosità.

Le ampie Gallerie (Salotti) delle case Rinaldi erano sontuosamente arredate con antichi mobili, divani e poltrone con affissi alle pareti, quadri e fotografie, riccamente incorniciati, che ricordavano gli avi che avevano dato lustro alle famiglie o che ne erano stati i fondatori e i capostipiti (figura 9). Nella galleria di Antonio Rinaldi c’erano due pianoforti tra cui uno era a coda.

Nel periodo di Natale era costumanza organizzare in questi “saloni” delle serate

danzanti alle quali prendevano parte oltre ai membri della “cuginanza” molti altri giovani del paese. A queste feste partecipavano con grande gioia e interesse anche i più piccoli, Ezio, Angelo, Achille e Nicolina.

Al suono di dischi acquistati a Napoli dalle sorelle Martuscelli, si ballavano il valzer, il tango, e altri balli “slow”, recentemente importati dall’America.

Tra i balli non poteva mancare la “quadriglia”, parte della cultura popolare, che per la sua natura rappresentava il massimo momento di socializzazione e divertimento d’insieme al quale aderivano tutti i presenti sotto la direzione di un “Direttore”

che dettava le figurazioni e le scene che andavano eseguite.

La casa dei Rinaldi di sopra, era una “casa aperta”, ci si poteva accedere con facilità per recarsi sia nell’ampia cucina, al piano terra, sia al primo piano per incontrare nella galleria o sulla terrazza i vari membri della famiglia.

Quando nel 1954 iniziarono le trasmissioni televisive, la prima televisione a Centola fu istallata proprio nella galleria della casa dei Rinaldi di sopra.

Essendo la televisione, all’inizio, un bene di lusso pochi potevano permettersela.

La sera in cui si trasmettevano programmi di grande interesse popolare (ad esempio, “Lascia o… Raddoppia?” e il “Musichiere”, condotti rispettivamente da Mike Bongiorno e dall’attore romano Mario Riva), intere famiglie, portandosi dalle loro case le sedie, si recavano nella galleria di questa abitazione per assistere a questi spettacoli: di fatto il salone era trasformato in una sala cinematografica.

In un paese a economia rurale, qual era Centola, riguardo alla fase storica alla quale si fa riferimento, nel periodo natalizio gran parte della popolazione femminile era impegnata nella raccolta delle olive che era fatta a mano e a terra dopo la caduta spontanea dall’albero. Le foto in figura 10-a, 10b e 10c)) evidenziano la fatica e il duro lavoro delle donne raccoglitrici cui correva anche l’obbligo di trasportare l’olio nei locali-depositi, all’uopo predisposti, dal “padrone”.

Il pittore e scultore spagnolo, José García Ortega (Arroba de los Montes, 1921Parigi, 24 dicembre 1990) che nel 1980 si stabilì nel Cilento, a Bosco (SA), ha immortalato in un suo dipinto la raccolta delle olive così come avveniva nel Cilento (figura 10-b).

Gli uomini lavoravano nei frantoi (i “trappiti”) dove, attraverso una serie di operazioni, tra cui la macina e la pressa della pasta ottenuta, si ricavava l’olio. I proprietari di estesi uliveti, generalmente, avevano il loro frantoio. I lavori connessi alla campagna olearia, impegnando un gran numero di donne, uomini e anche ragazzi, implicavano, di fatto, il fermo di ogni altra attività connessa all’agricoltura.

Fino ai primi anni del “50, nel maggior numero di frantoi oleari attivi a Centola, la macina era mossa da un mulo, asino o cavallo mentre il torchio a vite era azionato a mano da uomini attraverso una “pannula” (trappeti detti “a sangue”).

Le varie fasi della lavorazione delle olive, dalla frangitura, alla spremitura, alla chiarificazione, fino alla conservazione in orci di terracotta, in molti dei frantoi del Cilento, si svolgevano in maniera simile a quanto rappresentato nell’incisione di Giovanni Stradano del 1587-89, riprodotta in figura 11.

A causa della notevole presenza di aree olivate cui faceva seguito un’importante produzione di olio (una porzione era anche esportata), Centola si contraddistingueva per una larga presenza di frantoi (“Trappiti”) che erano distribuiti nei rioni del centro storico del paese.

Le strade, durante la campagna olearia, erano pervase da un caratteristico e piacevole aroma derivante dal processo di combustione della sansa, che era in parte usata per alimentare il fuoco sotto enormi caldaie contenenti acqua ad alta temperatura utilizzata per facilitare l’estrazione dell’olio dalla polpa contenuta nelle fiscole durante il processo di torchiatura.

La sansa conteneva residui oleosi e resinosi donde la fragranza che la sua non completa combustione diffondeva nell’ambiente.

All’odore della sansa bruciata si univa quello che emanavano i forni a legna dove avveniva la panificazione.

I “trappiti” erano, nelle giornate invernali, un caldo ricovero per alcuni dei ragazzi della cuginanza e i loro compagni di giochi. I ragazzi facevano a gara per aiutare i trappitari nelle operazioni della torchiatura che, come già scritto, avveniva a mano utilizzando torchi simili a quello mostrato nella figura 11.

Nei momenti di pausa i “trappitari”, riposando accanto al fuoco della fornace fumando una sigaretta o un sigaro toscano, raccontavano aneddoti sulla loro spesso travagliata e avventurosa vita insieme con antiche storie del passato, esperienze di

guerra e di viaggi fatti in paesi lontani dove avevano cercato, sovente senza successo, fortuna.

I membri più giovani della cuginanza, ascoltavano in silenzio pendendo dalle loro labbra. In questa maniera si passavano i lunghi, uggiosi, freddi e piovosi pomeriggi invernali.

Vigeva la consuetudine che non appena a casa fosse stato cotto il pane, i bambini chiedevano alla propria madre di tagliargli una robusta fetta e con essa correvano nel più vicino “trappito” domandando ai “trappitari” di versare sulla sua superficie qualche goccia di olio, appena “crisciutu”.

Altra abitudine era di porre delle grosse patate a cuocere sotto la cenere e appena cotte, ancora calde, mangiarle, condite con olio appena fatto e con un poco di sale: erano una prelibatezza!

Chi ha vissuto quei momenti li ricorderà per sempre: Tradizioni, Odori e Sapori di un tempo che fu.

SCRITTO DI EZIO MARTUSCELLI

Testo rivisitato, con aggiunta d’immagini e di contenuti, in parte tratto dal libro: “La Cuginanza di Centola (1940 – 1955)”, di Ezio Martuscelli, Laura Martuscelli e Federica Martuscelli, Edito dall’Associazione “Progetto Centola”, Tipografia Enzo Albano, Napoli (2017).

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