Una preghiera strana (Andrea Luise)
Una sera di molti decenni fa. La Chiesa Madre di Centola era piena in modo incredibile. Come per le celebrazioni della Pasqua. Noi chierichetti o apprendisti chierichetti eravamo, naturalmente, in prima fila.
Era stato invitato un famoso Predicatore. Il Parroco di Centola gli lasciò la parola e che parole si diffusero da quel Pulpito!
Il Predicatore cominciò a parlare e poi a tuonare infiammando l’uditorio mentre puntava il suo sguardo su noi chierichetti e, ne sono sicuro, su di me. Con toni appassionati e parole calorose il Predicatore descrisse la Vocazione che ti cambia la vita, la “Chiamata” cui non si può dire di no. Tutti trattenevano il respiro e ancora a fine predica, uscendo lentamente dalla Chiesa, tutti continuavano a commentare quella predica eccezionale e quei toni mai uditi sotto le volte della nostra Chiesa.
Quella notte rivolsi al Cielo una delle mie preghiere più sentite. Non solo a Gesù, riferimento quotidiano per un bambino “timorato” (si diceva così allora) nonchè aspirante chierichetto, ma…”più su”. Direttamente a Dio Padre.
Pregai di NON mandarmi la “Chiamata”.
Pregai di NON ricevere la Vocazione di cui con tanto orgoglio e calore aveva parlato l’ottimo Predicatore.
Pregai con rispetto e convinzione insieme.
Ero evidentemente un bambino timorato ma spavaldo. Ero un bambino credente e osservante, ma volevo vivere la mia vita – appena avviata – secondo desideri dai contorni ancora non definiti ma in buona sostanza già chiari. Ero davvero un bambino rispettoso, tanto che percepivo la stranezza della mia preghiera, ma insieme non volevo che la mia vita fosse decisa da altri, sia pure dagli Altri nel più alto dei cieli, così all’improvviso, senza darmi il tempo di…Già, non sapevo bene il tempo di cosa, ma forse il tempo e basta, quel futuro che diventa per un attimo presente e per sempre passato, ma dà l’illusione di essere stato deciso da noi, e perciò di essere nostro, solo nostro, negli entusiasmi negli errori e nei rimpianti.
Ora che ho vissuto la mia vita come avevo desiderato, a volte penso che la mia preghiera strana sia stata esaudita. Ma poi preferisco pensare che “lassù” nessuno abbia mai pensato di “chiamarmi” e che la mia preghiera infantile sia stata solo considerata irricevibile. Questo ridurrebbe il mio senso di colpa. Il mio imbarazzo. Ma solo un pò.
Ps
Ho già confessato – nel testo – che da subito sentivo che la mia era, in qualche modo, una “preghiera strana”. Sessanta anni dopo potrei definirla una richiesta di surreale incongruenza, a metà fra il “preferirei di no” dello scrivano Bartleby e il prestigioso “Domine non sum dignus”. Ma “preghiera strana” rimane la definizione pù adatta, perchè mantiene la parola preghiera.
Andrea Luise